Dell’erba carolina, ce ne da una descrizione piuttosto dettagliata Silvio Enea Piccolomini, salito al soglio pontificio con il nome di Pio II:
“La pianta è provvista di foglie spinose e aderenti al suolo in difesa del fiore, che è simile a un cardo, ma da esso differisce per il colore. Essa ha una radice dolce, grande come quella della cicoria, e per concessione divina esibisce ancora oggi la cicatrice della ferita infertale, ricordo indelebile del miracolo”.
(Enea Silvio (Papa Pio II) Piccolomini, I commentarii)
La Carlina Utzka appartiene alla famiglia delle compositae – come la margherita – e possiede una rosetta basale di foglie spinose e un capolino marrone chiaro fino al bianco, circondato da brattee membranacee di colore argento. Come la Carlina Acaulis – specie molto simile e, oggigiorno, più facilmente reperibile in commercio – cresce ratta al terreno, ovvero senza caule. Le radici della pianta, usata dai monaci per curare l’esercito di Carlo Magno dalla peste, sono a fittone e si presentano lunghe e carnose.
Fino a non molto tempo fa, sull’Amiata, si usava fissare il fiore di questa piantina allo stipite della porta per fungere da igrometro. Infatti, essendo sensibili all’umidità ambientale, le brattee florali si aprono con il bel tempo e si chiudono se sta per piovere.
Nel libro “Storia del monastero e del paese di Abbadia S. Salvatore” (Roma, 1966) di Giovanni Volpini, viene raccontata la leggenda che lega questa pianta al nome volgare di Carolina o erba di Carlo.
Il nome volgare di questa pianta, infatti, si deve ad una leggenda narrata dallo stesso papa Pio II che la vuole protagonista nell’estate dell’800, quando Carlo Magno, diretto a Roma per farsi incoronare Imperatore da papa Leone III, ebbe il suo esercito colpito dalla peste. Trovatosi nei pressi dell’Amiata, secondo la leggenda, a Carlo apparve in sogno un Angelo che gli indicò questa erba come antidoto alla malattia che affliggeva le sue truppe. Con l’aiuto dei monaci dell’Abbazia del Santissimo Salvatore furono preparati dei decotti e dati a bere ai soldati, i quali guarirono miracolosamente.
Sempre secondo Volpini, in onore dell’evento miracoloso fu eretta una cappella nel luogo dove oggi sorge la Chiesa della Madonna del Castagno ad Abbadia San Salvatore, al cui interno si trovava una epigrafe in memoria di quel fatto:
“Ascendi, o viatore, la strada che al monte conduce, ed ivi troverai l’erba di Carlo, che salvò il suo esercito dalla peste, e che guarisce da ogni infermità”.
Aurelio Visconti